Nel primo numero dell’anno del bimestrale Sotto Quirico, abbiamo pubblicato un articolo sulle osterie di un tempo presenti a Budrio. Non c’è da stupirsi se, agli inizi del ‘900, quasi ogni strada del centro di Budrio ospitasse una o più osterie. Il paese, con i suoi 17.400 abitanti, era uno dei più popolosi della provincia, principalmente a causa dell’agricoltura che coinvolgeva i due terzi della popolazione, in gran parte braccianti. Oltre alle numerose attività artigianali di qualità, la coltivazione della canapa era diffusa, esportata sui mercati nazionali ed internazionali, e le innovazioni tecniche avevano contribuito a sollevare le campagne dalla crisi agraria di fine Ottocento.
Nel periodo che va dalla fine dell’800 alla metà del Novecento, le osterie nel territorio bolognese prosperavano. A Budrio, se ne potevano contare una ventina, come documentato nel libro di Fedora Servetti Donati “Immagini di un paese nei suoi antichi soprannomi”.
Le ûstarì
Le ûstarì, chiamate con i soprannomi dei gestori, facevano parte della vita quotidiana e contribuivano ad arricchire l’immagine del paese. Il vino era un elemento di grande consumo tra i budriesi, offrendo un rifugio semplice ed efficace per alleviare le fatiche quotidiane.
Alcune osterie, durante l’inverno, offrivano anche piatti come minestra e polenta con il cosiddetto umidòn. La presenza di osterie che servivano cibo rappresentava un rifugio per coloro che cercavano conforto nelle fredde giornate invernali. La “TRATTORIA DELL’AURORA,” gestita dai fratelli Poggi, offriva specialità come i tortellini in brodo di cappone e polpette di carne frusta.
Servetti Donati descrive che durante la stagione fredda, il calore naturale proveniente dal vino e il poco calore dalla cucina del proprietario costituivano spesso l’unico riscaldamento nelle osterie. Tuttavia, alcuni locali, come L’USTARÌ DI TRI MORI si distinguevano per la presenza di un camino con una grande cappa, dove i clienti potevano pagare per ottenere un po’ di calore.
Fedora racconta di gesti di solidarietà, come quando alcuni, dopo aver pagato una fascina per il fuoco, suggeriva ad altri braccianti di andare a scaldarsi vicino al fuoco ancora acceso.
La presenza di osterie, soprattutto quelle che offrivano cibo, rappresentava un rifugio prezioso.
Ma le osterie di Budrio, con i loro nomi curiosi e soprannomi caratteristici, non erano solo luoghi di ristoro, ma veri e propri teatri di vita quotidiana, testimonianze di solidarietà e luoghi di socializzazione in un’epoca ricca di sfumature e peculiarità. Molte offrivano anche intrattenimento, come la “Trattoria dell’Aurora” che organizzava spettacoli teatrali all’aperto durante l’estate, attrattiva per il pubblico proveniente da Budrio e dintorni.
La USTARì ED CANÈLA, gestita dal figlio di Vincenzo Bondi, Clementén detto Canèla, era particolarmente significativa nel panorama del paese, con una clientela variegata di operai, braccianti, artigiani, borghesi “progressisti,” insegnanti e commercianti.
Nella lista stilata da Fedora compaiono nomi originali, come L’USTARÌ ED SÈT E OT in Via Andrea Costa, così chiamata per la vendita di vino puro a sette e otto soldi la bottiglia. L’USTARÌ DLA BUSA DAL PÉSS, nonostante il nome poco invitante, era così chiamata a causa della presenza di due “vespasiani” (orinatoi) nelle vicinanze. L’USTARÌ DI TRI SCALÉN, con i suoi tre scalini, si trovava all’inizio di Via Zaniboni. L’USTARÌ DLA TUGNINA in Via Cocchi, serviva il miglior lambrusco di Budrio.
La lista rivelava che ogni via del centro aveva un’osteria con una caratteristica distintiva. L’USTARÌ ED TRANI in Via Bissolati, oggi negozio di orologeria-ottica Solmi, era gestito senza successo da un oste pugliese che importava vino da Trani, molto alcolico.
Pare che i budriesi smisero di frequentare l’osteria dopo alcune sbornie colossali, costringendo Trani a chiudere e tornare in Puglia.
In Via XX Settembre spiccava L’USTARÌ DLA MURINA, nota come “la morettina”, soprannome affettuoso attribuito a Elena Cacciari Maccagnani, la titolare.
Il fratello, invece, gestiva L’USTARÌ SÒTT’AL PURTGÀZ, che era situata all’estremità di Via Andrea Costa, sotto il voltone ancora esistente che un tempo congiungeva il palazzo alle antiche mura.
Sotto il portico di Via Marconi, si ergeva L’USTARÌ DL’URBÉN, conosciuto come “l’Orbino” a causa della quasi cecità del proprietario. Ancora su questa via, un tempo cuore pulsante del mercato del martedì, si distingueva L’USTARÌ ‘D TANÈSI, oggi Caffè del Borgo. Durante il martedì, questa osteria fungeva anche da trattoria, attirando una clientela di ambulanti e mercanti.
Anche nella centralissima Via Benedetti c’era un’osteria, chiamata L’USTARÌ DAL TINTÒUR, gestita da Rosina, figlia del tintore di lane, nota come Rusén dal Tintòur.
Una ricerca da proseguire
Il tema delle osterie alcuni anni fa ha suscitato interesse anche in Alessandro Molinari Pradelli, che insieme all’amico Giordano Cola aveva avviato una ricerca per la realizzazione di un libro arricchito da immagini.
In un primo elenco abbozzato, la lista di Fedora si estende con l’inclusione di alcuni nomi significativi: la LOCANDA DEL FALCONE, situata all’angolo di via Golinelli e Zaniboni, che rimase aperta fino al 1893, per poi essere demolita; l’OSTERIA DI GAIBA e l’OSTERIA DI SPIGA, verosimilmente di epoca più recente; la TRATTORIA DEL CANONE, ubicata in via Provinciale, ora via Martiri Antifascisti.
Solo quest’ultima potrebbe valere un libro dedicato. Purtroppo, la scomparsa di Molinari Pradelli ha interrotto questo progetto ancora in fase iniziale, che prometteva di proseguire il lavoro di Fedore Servetti Donati con uno sguardo approfondito sulla ricca storia delle osterie nel contesto locale, preservando così il patrimonio culturale e sociale del paese. Ma non tutto è perduto: le storie, gli aneddoti e le fotografie degli abitanti di Budrio, allargato anche alle osterie delle frazioni potrebbero contribuire a far rivivere questa ambiziosa iniziativa.
Chi volesse contribuire con materiali (informazioni e fotografie) può scriverci a:
sottoquirico@gmail.com
LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO