Avete mai sentito parlare di comfort food? Il termine comfort food appare per la prima volta negli Stati Uniti nel 1977 a indicare quel boccone che infonde, in chi lo mangia, un sentimento nostalgico, un calore che riempie il cuore, un’emozione particolare, spesso legata a ricordi d’infanzia che sono in grado di cullare e far percepire l’individuo in totale armonia con l’universo.
Il comfort food è il cibo del cuore; da buoni italiani il nostro comfort food può essere la tagliatellina in brodo della mamma, la ciambella della nonna, ma anche il pacchetto di patatine mangiate davanti alla televisione.
Ogni persona confida le proprie debolezze, sopperisce alle proprie mancanze in un piatto particolare, perché legato a sensazioni del tutto personali. Il cibo non rappresenta, per noi umani, soltanto un mero strumento di sopravvivenza fisica: assegniamo inevitabilmente tutto un complesso di significati sociali e affettivi al cibo.
Quando il mangiare, però, diventa il primo meccanismo per affrontare le emozioni, quando a causa dello stress, della stanchezza o della rabbia apriamo il frigo come primo impeto, vuol dire che si è attivato un pessimo circolo vizioso in cui i sentimenti non vengono affrontati nel modo giusto.